Un passaggio meraviglioso, dolce ed ispirato con l’unicità assolutamente singolare di uscire nel pieno del fermento grungy a Seattle senza averne le caratteristiche. Questo è il preambolo per raccontate Shame, il debutto discografico del side-project Brad, supergruppo che coinvolge diversi musicisti attivi nel tessuto musicale in crescita di popolarità sulle sponde del Puget Sound. I Brad raccolgono frutti autoctoni della città di smeraldo miscelando influenze ed esperienze parallele per arrivare all’essenza di Shame.

Shame è uno degli sforzi più acuti e originali nel periodo perché non cerca di clonare le produzioni maggiormente in voga e la band di provenienza di uno dei membri fondamentali del gruppo, Gossard (Pearl Jam) che si concentra per la stesura dei brani sul cantante Shawn Smith, frontman dalla voce dolce e ispirato dal soul già protagonista con i Satchel, così come nel suo personale progetto insieme al leggendario produttore Steve Fisk, i Pigeonhed.

Al suo primo grande lavoro Smith mostra un controllo eccellente, evitando la dubbia teatralità di artisti eighties con un tono ricco e denso di dolore. Maneggia anche le tastiere per il gruppo e le parti di pianoforte e organo azzeccando le atmosfere ricercate dai Brad.

Come band, i Brad, lavorano in modi tradizionali ma piuttosto efficaci, il più vicino possibile ai Pearl Jam in ogni senso senza risultarne comunque influenzati. In My Fingers la voce di Smith si mescolata sapientemente all’emozionante struttura di chitarra architettata da Gossard e uno scricchiolio ritmico. Il gruppo in Shame propone principalmente due modalità di sound: rock edificanti e pesanti come in My Fingers appunto, la funky 20th Century e il pezzo di chiusura We. Altro approccio con groove più lenti e tranquilli per Buttercup o Good News. Senza risultare rivoluzionari di per sé, i quattro fanno un ottimo disco, garantendo un ascolto piacevole in tutto e per tutto e trova spazio anche un lampo vocale del bassista Jeremy Toback nella malinconica Down mentre Rockstar, brano aspro, penetrante risulta unico nella tracklist appena prima che si chiuda l’opera.

Shame resta una gemma discografica sbocciata in un tumulto culturale in divenire, prossimo all’esplosione planetaria, senza che venga sfiorata, inquinata; delicata, piacevolmente serena ci racconta di un mondo alternativo parallelo, senza urla e frastuoni, una sorta di rabbia sussurrata

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