Non giudicate un’artista per i suoi errori, per i vizi, le umane debolezze ma per la grandezza delle sue mosse, la speranza che le sue gesta sanno infondere nei disperati, nei balordi, negli ultimi di un mondo ingiusto, in posti dove il vostro dio ha dimenticato di distribuire diritti e dignità. Non c’è legge o preghiera che possa render giustizia come regalare un barlume di luce, gioia, anche solo per un istante, un lampo di genio dove tutto è buio, oscurità, inumana quotidianità. Tutti abbiamo bisogno di quel folgorante momento d’eternità.
Hello, I’m Johnny Cash
Si presenta così The Man in Black il 13 gennaio 1968 all’interno del carcere di massima sicurezza in California un attimo prima di attaccare con Folsom Prison Blues, brano dedicato ai carcerati all’inizio delle due esibizioni memorabili. Cash organizza senza compromessi questi concerti per rimettersi in gioco dopo i periodi bui, tribolati e per farlo cerca la redenzione attraverso questa incisione live che mostra il lato più umano, viscerale e testardo del songwriter folk/country dell’Arkansas determinato nel realizzare questo tributo ai meno agiati, agli emarginati della società americana a costo di scontrarsi per farlo anche violentemente con l’etichetta Columbia Records, contrariata dall’idea di Johnny.
Cash suona e canta totalmente coinvolto dall’ambientazione carceraria, interagisce e scambia battute con i detenuti mantenendo fede alla sua volontà. Il live che viene immortalato nell’album è senza ombra di dubbio una delle migliori esibizioni in carriera per l’uomo in nero che mostra tutto lo spessore dell’artista e la gigante persona capace di penetrare le coscienze e sfidare l’establishment in favore dei più deboli, dei meno fortunati. Johnny Cash, personaggio sconveniente.
All you have with you in the cell is your bare animal istinct.
I speak partly for experience, I’ve been behind bars a few times
J. Cash
di Gianluca Crugnola